Nel paese delle migliorie

Se ci pensiamo, ci vengono in mente almeno un paio di ideuzze per apportare dei cambiamenti in meglio. Sarebbe molto bello se si potessero concretizzare con uno schiocco di dita perché, si sa, il tempo e le energie per realizzarli proprio non ce l’abbiamo, soprattutto in questo momento. E poi… non dipende mica solo da noi ma anche dagli altri. Chi li convince, quelli?

Giù nella tana del coniglio!

È davvero un peccato rinunciare ai propri propositi di miglioramento. Ci teniamo molto, è vero, ma abbiamo quella sensazione che anche stavolta sarebbe solo una perdita di tempo.

Bisogna anche considerare che restare immobili presenta dei rischi: un giorno saremo comunque costretti a smuoverci a causa di spinte esterne che non possiamo controllare e, a quel punto, dovremo farlo controvoglia, in modalità panico e senza possibilità di rifiatare.

È decisamente più conveniente partire subito, anche se gradualmente: la strada per il miglioramento è facile per chi sceglie di percorrerla. Basta ignorare quelle vocine che tentano di dissuaderci con prospettive tanto avverse quanto improbabili.

Un attimo dopo, Alice ci si infilava dentro, senza riflettere per un attimo a come avrebbe fatto a uscirne fuori.

Anche se ciò che abbiamo davanti ha l’aspetto di un buco nero che scende nelle profondità della terra, non è detto che vorremo uscirne fuori. Infatti, non appena ci rendiamo conto che i nostri sforzi ci hanno effettivamente portato un passo verso un obiettivo, l’idea di tornare indietro sarà accompagnata da un senso di perdita che ci terrà incollati con lo sguardo in avanti. Restare in movimento, in un ciclo continuo di miglioramento, a quel punto sarà diventata la nuova normalità.

Dunque perché restare immobili quando possiamo inciampare, cadere e rotolare nel vuoto? Muoversi, anche se in maniera scomposta, è certamente meno rischioso perché ci porta a fare nuove esperienze e ci regala nuove consapevolezze. Provare imbarazzo per quella forma sgraziata sarà solo una distrazione e, tutto sommato, non è detto che sia così male.

Alice ebbe tutto l’agio, mentre cadeva, di guardarsi attorno e di cercare di capire cosa le stesse accadendo.

Iniziando con piccoli passi possiamo abbattere il rischio di farci male e, al contempo, aumentare la probabilità che ci capiti qualcosa di piacevole. Più di tutto, l’importante è voler iniziare!

Tante cose, tutte insieme

L’aspirazione di ottenere sempre qualcosa di meglio è connaturata nell’essere umano. A volte ci arrovelliamo, giustamente, per crearci un futuro migliore in cui ci sia:

  • Meno burocrazia e complessità, così da risparmiare tempo;
  • Più chiarezza e documentazione, così che gli altri possano aiutarci quando serve;
  • Migliore accessibilità, così che possano goderne tutti.

La forza di queste intenzioni viene subito messa alla prova dalla realtà delle cose, che è ricca di imprevisti e difficoltà.

C’erano tante porte attorno al salone ma erano chiuse a chiave. Alice si portò nel mezzo della sala, pensando a come mai avrebbe fatto a proseguire.

Le molte opzioni a disposizione – e i rispettivi ostacoli alla realizzazione – possono paralizzarci nella scelta. Uscire da questo stato mentale è possibile, soprattutto se non ci ostiniamo a voler fare tutto da soli. A volte basta vincere il timore del giudizio degli altri e parlare apertamente per scoprire che le nostre idee sono condivise e che possiamo contare su qualcuno che vuol raggiungere gli stessi obiettivi.

Cercare il consenso del gruppo e imparare a fidarsi delle abilità altrui è rinvigorente e aiuta a dissipare la paura di fallire o di compiere scelte sbagliate. A quel punto, procrastinare diventa quasi impossibile perché si è ormai instaurata una reciproca fiducia tra i membri del gruppo che non si vuole assolutamente deludere.

Co-creare la visione per avere coinvolgimento

Finché il gruppo non raggiunge un’unione di intenti risulterà disorganizzato. È probabile che l’impeto produttivo di ognuno sia rivolto in direzioni diverse e ciò genererà conflitti. In questa situazione sconclusionata, è possibile che qualcuno provi a esercitare autorità per sovrastare le opinioni concorrenti nel tentativo di arrivare a un accordo.

Quando apparve Alice, ciascuno dei tre disputanti ripeté le sue ragioni ma, poiché parlavano tutti insieme, Alice faticò non poco a capire cosa dicessero di preciso.

La mancanza di una comunicazione aperta e trasparente è spesso causa di barriere artificiali che vengono erette tra le persone o tra interi ranghi, e ciò non può di certo agevolare la collaborazione. In alcuni casi, tali barriere appaiono talmente insormontabili da abbattere il morale e ostacolare duramente ogni tentativo di miglioramento.

La prima sfida consiste perciò nel creare le condizioni affinché tutti i membri del gruppo, che dovrebbe includere persone di vari ranghi e gradi, siano liberi di contribuire alla visione di miglioramento. È importante trovare risposta a domande come:

  • qual è la ragion d’essere di ciò che facciamo? Ovvero, perché abbiamo scelto di fare proprio questo e non altro?
  • che bisogni vogliamo soddisfare, migliorando?
  • stiamo considerando solo il nostro benessere personale o anche quello degli altri?
  • ci interessa ottenere più risultati dal tempo che investiamo? O ci interessa ridurre le energie necessarie per essere più sostenibili?
  • come vogliamo modificare la nostra interazione col mondo esterno?

Ogni persona è alla strenua ricerca di significato: se comprende i perché e ne condivide i valori, risulterà ispirata e ciò agirà da moltiplicatore dei suoi sforzi. Inoltre, se la visione viene co-creata anziché essere impartita in maniera autoritaria, ciascuno si sentirà più determinato a realizzarla.

Certamente continueranno ad esserci confronti e attriti su quale sia il modo più corretto di implementare la visione ma almeno l’impegno di ciascuno sarà orientato a una causa comune.

(Ri)conoscere sé stessi

Un’idea di miglioramento è valida solo quanto la sua attuabilità. Copiare un piano di esecuzione formulato da altri e applicarlo così com’è, in maniera dogmatica, significa molto probabilmente decretarne il fallimento e procurare stress. Ogni soluzione precotta, per quanto infallibile sembri, non potrà funzionare adeguatamente se la si applica in maniera rigida, ovvero senza che la si adatti alle proprie circostanze.

Prima di tutto occorre rispondere alla domanda: “Chi sono io?”. Questo è il problema!

Ogni realtà, così come ogni persona che ne fa parte, è unica. Questa consapevolezza deve spingerci a voler conoscere approfonditamente i nostri specifici punti di forza, le debolezze e le preferenze personali. Se è il gruppo stesso a formulare un piano d’azione originale, che tenga conto di queste peculiarità e dei propri valori, risulterà certamente più compatibile e attuabile. Infatti, chi è in grado di rispondere alle seguenti domande, se non sé stessi?

  • Ci piace intraprendere questa nuova attività, contemporaneamente a tutto quel che abbiamo già da fare? Abbiamo l’entusiasmo necessario?
  • Siamo concordi sul fatto che sia necessario impegnarci adesso, così da semplificarci la vita poi?
  • Abbiamo tutte le competenze che servono? Se ne mancano alcune, possiamo acquisirle in tempi rapidi?
  • Cos’è che ci motiva di più e che perciò ci rende più produttivi?
  • Promettiamo di non demordere alle prime difficoltà?

Chiedere l’aiuto di un consulente è certamente utile a colmare le lacune che frenano l’attuazione della visione ed è anche utile ad allenare il gruppo affinché resti in forma a lungo, nonostante avversità varie. Invece, formulare il piano di esecuzione in sé, è un’attività che non dovrebbe essere delegata.

Confrontarsi onestamente, riflettere su sé stessi e attuare azioni correttive che ci riportino verso la visione sono attività che, se fatte periodicamente, migliorano le probabilità di successo.

Condividere un piano con le RFC

Una visione di cambiamento si attua grazie a molte, piccole idee che qualunque membro del gruppo può formulare. Se tali idee vengono poi condivise e discusse con gli altri, si avrà l’opportunità di raffinarle grazie al loro contributo.

Una Request For Comments (RFC) è un documento redatto dal promotore (o dai promotori) di un’idea per presentarla formalmente, così che si possano poi raccogliere opinioni e critiche costruttive. Mettere nero su bianco aiuta innanzitutto a ragionare sulle problematiche che si intendono risolvere, sulle modalità e tempi di implementazione, sui rischi, sul valore prodotto e, in generale, sulla sua validità rispetto alle alternative.

Puoi trovare un template di RFC su Notion.

Durante la successiva discussione, il gruppo potrà suggerire modifiche, ad esempio per ridurre l’ambito di applicazione a ciò che è veramente essenziale, oppure estenderlo, così che produca più benefici per un numero maggiore di persone.

“Da che parte? In su o in giù?” e si teneva una mano sopra la testa per controllare se stesse crescendo.

Tipicamente, le idee che mirano a produrre piccoli miglioramenti nella vita quotidiana, ad esempio quelle che risolvono lievi fastidi o inefficienze, sono le più apprezzate. Il feedback delle persone coinvolte servirà a confermarne la riuscita.

Obiettivi misurabili con gli OKR

Quando si passa alla fase di esecuzione di un’idea, un modo pragmatico per monitorarla e misurarne i risultati ci viene offerto dagli Objective and Key Result (OKR).

Per ogni attività che desideriamo implementare, definiamo:

  • Un objective ovvero il cosa vogliamo ottenere: deve essere qualcosa di tangibile e realistico, che faccia trasparire un intento e che abbia una scadenza ben definita;
  • Vari key result che rappresentano il come vogliamo ottenerlo: sono esiti misurabili e multidimensionali – sia qualitativi che quantitativi.

Vedi alcuni esempi di OKR

Gli OKR favoriscono l’innovazione e ci permettono di realizzare più di quanto pensavamo. Non sono una banale lista di cose da fare, imposta in maniera autoritaria. Sono top-down e bottom-up. Sono laterali. Sono l’incarnazione stessa della visione di miglioramento e vengono costruiti sul rispetto e la fiducia di ogni partecipante del gruppo. Forniscono chiarezza, precisione e stabilità all’obiettivo da raggiungere.

Leggi come gli OKR sono usati in Google

Quando lavoriamo per perseguire gli obiettivi, sappiamo che il tempo dovrà essere ricavato da una tipica giornata già piena di altri impegni. La strategia consiste quindi nell’ottimizzare l’esecuzione di ciò che stiamo già facendo, così che richieda meno tempo e ne resti a sufficienza da dedicare alle attività di miglioramento.

Siamo quindi spronati a eliminare le inefficienze e a ottenere il massimo da ogni giornata. Sono così ambiziosi che solo il 70% di essi dovrebbe concludersi con un successo. Il rischio di fallire deve essere percepibile e ciò aumenterà la concentrazione. Con scadenze a brevissimo termine, impegnarsi sin da subito sarà l’unica via per garantire le migliori probabilità di riuscita.

“Se tu conoscessi il Tempo come lo conosco io” – replicò il Cappellaio – “non oseresti parlarne con tanta disinvoltura; lui è un Signor Tempo”.

Dato che gli OKR sono così sfidanti, è consigliabile prenderne in carico pochissimi alla volta, magari uno o due, affinché restino realizzabili e sostenibili per il gruppo. Ciò ci costringe a decidere cosa sia veramente essenziale fare.

Miglioramenti marginali

Non dobbiamo sorprenderci se inizialmente otteniamo risultati modesti. Il progresso è pur sempre progesso: in tutti gli ambiti, soprattutto in quelli più competitivi, ottenere un miglioramento marginale può comunque essere determinante per ottenere una vittoria. Non solo: la sensazione di avercela fatta galvanizza i partecipanti e alimenta la fiducia reciproca.

Si tratta di effetti positivi che spesso vengono sottovalutati: il crescente senso d’appartenenza a un gruppo che sta avendo successo, infatti, conferirà ancor più motivazione ad intraprendere la sfida successiva.

Era una porticina non più alta di una trentina di centimetri: provò a infilare la piccola chiave d’oro nella serratura e con sua grande gioia vide che funzionava.

Risolvere una serie di problemi di lieve entità serve anche tenere la mente sgombra da quel rumore di sottofondo così fastidioso che ci distrae dal dedicare tutta la nostra attenzione a questioni più importanti.

Aumentare il livello di sfida

Con un affiatamento crescente, il gruppo è in grado di migliorare la sua capacità di esecuzione. Durante le retrospettive è importante che ciascuno manifesti il proprio livello di soddisfazione – e di stress – così che insieme si possa stabilire se il gruppo è pronto a intraprendere obiettivi di difficoltà più elevata.

Essendole capitate tante cose negli ultimi tempi, Alice si stava ormai convincendo che di veramente impossibile non ci fosse quasi più nulla.

Gli obiettivi, anche se sfidanti, devono sempre restare realistici e realizzabili. È importante che il gruppo sia consapevole che la nuova attività è soggetta a una maggior probabilità di fallimento ma che questo non metterà in alcun modo a repentaglio la reputazione costruita fino a quel momento. Fallire causa invariabilmente delle rimesse e, per questo, è importante che venga almeno reinterpretata come opportunità di crescita. Le probabilità di riuscita al prossimo tentativo aumenteranno.

Celebrare i successi

Quando tutto va alla grande, riconoscere pubblicamente i meriti suscita quella impareggiabile sensazione di benessere in chi ha contribuito al successo. Un gruppo di persone orgogliose del loro operato è semplicemente inarrestabile.

Finalmente, il Dodo dichiarò: «Ciascuno di voi ha vinto, e tutti dovete avere un premio».

Il riconoscimento può avere varie forme: può trattarsi di un elogio in un canale pubblico, di un blog post che suggelli la vittoria o di un intervallo di tempo libero che il gruppo può dedicare ad attività di propria iniziativa. Anche elargire un riconoscimento monetario è chiaramente apprezzabile ma bisogna tenere presente che non ha lo stesso potere di legare le persone come un grazie di cuore.

Altrettanto importante è riconoscere il successo del gruppo nella sua interezza: un gruppo ha successo o fallisce tutto insieme. In un gruppo ben bilanciato, ciascun partecipante contribuisce in egual misura al raggiungimento del risultato. Se invece una o due persone dovessero produrre molto più valore rispetto alla media del gruppo, questo è in genere problematico ed è sintomo di una carente collaborazione interna. I membri dovrebbero essere spronati a formarsi vicendevolmente su varie di competenza, affinché tutti possano produrre un valore comparabile. Nel complesso, il gruppo sarà anche molto più resistente a eventuali defezioni.

Infine, anche in caso di successo, è bene restare vigili per identificare le possibili aree di miglioramento, specie se per il prossimo obiettivo è previsto un maggiore livello di sfida.

Imparare dai fallimenti

A volte, invece, le cose non vanno come previsto. Anziché cercare un colpevole da biasimare, è più redditizio esaminare le cause che possano aver causato l’insuccesso:

  • il gruppo aveva sufficienti competenze e motivazione per affrontare la sfida?
  • l’obiettivo era chiaro a tutti, realizzabile e ben documentato?
  • si sono verificati imprevisti in corso d’opera che hanno aumentato la difficoltà?
  • nonostante tutto, l’impegno e la coesione del gruppo sono stati soddisfacenti?

Un insuccesso può intaccare il morale ma solo se si lascia che succeda. Un’attenta analisi può aiutare a razionalizzare gli avvenimenti e, facendone tesoro, a ridurre la probabilità che ricapitino.

“Un nodo!” esclamò Alice, sempre desiderosa di rendersi utile, guardandosi attorno piena di sollecitudine. “Oh, lascia che ti aiuti a scioglierlo!”

Alcune delle cause saranno in realtà degli alibi: “abbiamo avuto altre cose più urgenti da fare” è la tipica giustificazione per aver mancato una scadenza. Infatti, se il tempo non è stato sufficiente, basta scavare un po’ per determinare le reali motivazioni sottostanti. Se vengono portate alla luce, è anche più facile porvi rimedio:

  • la stima era sbagliata perché troppo ottimistica o perché alcune nuove informazioni sono apparse in corso d’opera;
  • il gruppo ha fatto affidamento sulle capacità di una singola persona oberata, anziché distribuire i compiti su più membri;
  • il gruppo non era abbastanza motivato;
  • non è stato chiarito quanto fosse importante rispettare i tempi.

la Regina si mise a urlare “È fuori tempo! Tagliategli la testa!”»

Dichiarare fallito un progetto all’esatta data di scadenza è una misura decisamente drastica, degna di un despota. Tuttavia, anche continuare a prorogare la scadenza per salvare un progetto è da evitare. Infatti, ogni volta che una data viene diluita nel tempo, la sua importanza percepita sfuma, fino a diventare irrilevante. Il gruppo si abitua a lavorare a un ritmo più rilassato, consapevole che non ci saranno conseguenze tangibili. Senza una certa tensione, è probabile che le scadenze vengano mancate via via più spesso.

Dichiarare fallito un progetto non vuol dire gettar via tutto quello che è stato realizzato: può essere riusato in parte o in toto nella realizzazione di nuovi progetti, formulati in maniera tale da evitare le cause che hanno portato al primo insuccesso. Inoltre, resta pur sempre un ottimo caso di studio per comprendere meglio le dinamiche del gruppo.

Si parte!

Intraprendere un viaggio verso il cambiamento richiede solo la volontà di compiere quel piccolo passo che ci porterà da zero a uno. Qui abbiamo visto che, usando strumenti come RFC e OKR, possiamo condurre un percorso più disciplinato, che responsabilizzi le persone e le mantenga concentrate sul raggiungimento di obiettivi chiari.

“Non ci posso far niente” gli rispose Alice, dolce dolce. “Sto crescendo”.

A quel punto, restare in movimento risulterà così semplice che sembrerà un peccato non averlo fatto prima.