Istruzioni semiserie di sopravvivenza per non Dev

In CodicePlastico mi occupo di amministrazione e segreteria: sono – a seconda del punto di vista da cui si osserva la cosa – una mosca bianca o una pecora nera, l’unica non dev in un contesto fortemente nerdizzato.

Basandomi quindi sulla mia esperienza personale posso provare a tracciare per sommi capi gli stadi che ho attraversato per inserirmi ( leggi: sopravvivere ) in una realtà totally nerd.

1. Stadio uno, ovvero: “Non mi riguarda!”

Dei primi giorni di lavoro in azienda, risalenti ad alcuni anni fa, ricordo, insieme a un’ottima accoglienza e a una grande disponibilità da parte di tutto il team, una sensazione di perplessità nel momento in cui i colleghi iniziavano a parlare tra loro.

L’effetto era quello che immagino si possa provare nel venir catapultati nella piazza di una qualsiasi città del mondo di cui non si conosca il linguaggio. Parole scambiate, ripetute anche più volte, ma al mio orecchio totalmente vuote di significato. In fondo però, per rincuorarmi, mi dicevo che quelle parole a me non servivano, non era il caso di investirci attenzione, ero lì per fare altro.

2. Stadio due, ovvero “Arrenditi! Sei circondata!”

L’approccio nerd non si limitava però al linguaggio utilizzato nei momenti di confronto tecnico, ben presto ho scoperto ahimè che si estendeva anche ai tool utilizzati, alle dinamiche aziendali, alle battute scambiate durante la pausa caffè, ai bizzarri scherzi fatti a chi incautamente si allontanava lasciando il proprio PC loggato. Insomma a tutto.

Forse a questo punto la carta vincente non era più fingere che tutto ciò non mi riguardasse ma imparare a conviverci e quindi sforzarmi di capirci almeno qualcosa. Vivevo infatti con un po’ di disagio il fatto di non comprendere parte di ciò che mi circondava: era il mio ambiente di lavoro, non un luogo di passaggio e diventava sempre più importante per me farne parte in maniera attiva e partecipe.

Partivo da una situazione di digiuno pressoché totale rispetto a ciò che lì si masticava invece in tutta serenità. Come ridurre allora (eliminarlo: impossibile) lo spiacevole gap?

Anzitutto chiedendo aiuto, senza aver paura a farmi spiegare e rispiegare le cose più banali (per tutti ma non per me). E tenendo occhi e orecchie ben aperti per scoprire con il tempo che alcune parole, schemi, procedure erano ricorrenti e tutt’altro che imprevedibili…forse si trattava di avere (anche) un po’ di pazienza.

3. Stadio tre ovvero “nerd si nasce non si diventa”

Arriviamo infine ai giorni nostri: rispetto al mio giorno uno (o è meglio chiamarlo giorno zero?) sento di avere imparato qualche termine tecnico, i nomi di molti linguaggi di programmazione, che una riga di codice può essere scritta in modo più o meno pulito, colgo qualche battuta in più, cerco di non lasciare mai il portatile incustodito ma soprattutto ho capito che nerd è uno state of mind, un modo di essere, una sorta di X Factor che si ha o non si ha.

Una volta accettato serenamente questo fatto, si può assolutamente essere certi, seppur non dotati geneticamente di questa caratteristica, di poter godere del privilegio di lavorare in un ambiente accogliente, aggiornato, insolito, divertente e stimolante.