Cosa (chi) c’entra l’obiettivo

Come nasce un progetto in una software house? In CodicePlastico, nasce con un gruppo di persone attorno ad un tavolo, un grande cartellone, poche slide, pennarelli, tanti post-it e una buona dose di creatività. Se siete curiosi di sapere come siamo arrivati a capire che i Workshop Collaborativi rendono migliore il nostro processo di sviluppo, non potete perdervi l’articolo di Ema. Nel frattempo oggi vi parliamo di una delle attività regine dei nostri workshop: la definizione degli obiettivi.

La soluzione in tasca

Realizziamo software. Questo implica che, il più delle volte, i nostri clienti arrivano da noi già con una soluzione in tasca. L’obiettivo del workshop è quello di aumentare consapevolezza su questa soluzione, sugli utenti che la useranno e sui motivi che li spingeranno a compiere determinate azioni.
Questo comporta che, alla fine della progettazione collaborativa, questa soluzione iniziale può essere validata, può essere modificata, rimpicciolita, ingrandita, sdoppiata o meramente buttata nel cestino. Prima ancora di portare i clienti a costruire empathy maps, customer journey o rapid prototyping pensiamo sia fondamentale capire come, quello che andremo a costruire, avrà un impatto nel mondo: creiamo un gruppo di lavoro con la dirigenza (i decisori) e lavoriamo insieme sulla validazione degli obiettivi.

Obiettivi ben formati: il processo

Un canvas che abbiamo trovato particolarmente efficace è la definizione di un obiettivo ben formato (espresso in positivo, sotto la propria responsabilità, misurabile ed ecologico).
Iniziamo chiediamo al gruppo di lavoro di accordarsi in pochi minuti su quello che secondo loro è l’obiettivo principale del progetto.

Stiamo facendo questo progetto perché… e tra sei mesi, un anno, cinque anni, saremo…

Il tuo obiettivo è espresso in positivo? Ne abbiamo una rappresentazione condivisa?

Dopo aver scritto un obiettivo iniziale lo mettiamo sotto processo. Il facilitatore parte riformulando in positivo le eventuali negazioni e parte con una serie di domande come:

Quando l’avrai ottenuto, cosa vedrai? cosa ascolterai?Cosa sentirai? Come fai a sapere di averlo ottenuto?

Il primo step serve per creare un modello mentale condiviso, mettendo sul tavolo le aspettative, i dettagli e le implicazioni.

È interessante vedere come i clienti costruiscano delle scene precise: c’è chi si immagina il proprio reparto di amministrazione al lavoro, c’è chi vuole trovarsi a capo di una convention europea come leader del settore.

Il tuo obiettivo è sotto la tua responsabilità? È misurabile?

Solitamente quando gli obiettivi sono epici, il processo e la facilitazione aiutano ad individuare dei sotto obiettivi realizzabili e misurabili:

Quando? In quanto? Per quanto?

Da chi dipende il raggiungimento di questo obiettivo?

Abbiamo tutti gli strumenti necessari o dipendiamo da qualcuno?

È sotto la nostra responsabilità? Da chi dipende?

Ogni volta che viene ridefinito un obiettivo più piccolo, lo mettiamo in gerarchia. Dall’obietivo di diventare leader del settore in cinque anni, arriviamo al sottoobiettivo di mettere rapidamente sul mercato un’app per dare ai clienti la possibilità di prenotare il nostro servizio più facilmente. I sotto obiettivi devono essere definiti sul piano del “fare”: azioni che portano valore ma su cui possiamo avere un impatto concreto. Le epiche, diversamente, si collocano in un futuro distante e spesso hanno contorni sfumati, all’inizio del progetto. Attenzione, non sono inutili: ispirano, motivano e danno una direzione: sono una guida per una visione globale del progetto.

Verificare l’ecologia del sistema

Ora possiamo passare al controllo ecologico. No, non ha a che fare con quanta Co2 produrrai al raggiungimento dell’obiettivo, ma si tratta una verifica sull’impatto sistemico ad obiettivo raggiunto:

Quando lo avrai raggiunto cosa succederà a te? Come ti sentirai? cosa succederà agli altri?

C’è qualcosa che stiamo perdendo? Gli altri perdono qualcosa?

Cosa c’è di importante in quello che perdi?

È un momento molto delicato e spesso anche spinoso. Queste domande pongono i decisori di fronte alle conseguenze di quello che vogliono costruire. Le prime risposte sono sempre del tipo:

Aumenterò il mio stipendio di X%, saremo in grado di gestire un X% di produzione in più!

Poi si arriva alla sfera personale: Avrò meno tempo per la mia famiglia? Avrò tempo per i miei hobby?

E infine affiorano le implicazioni come:

Se la nuova app porterà nuovi clienti, saremo in grado di gestirli bene come oggi?

Dovremo rinunciare al lato umano del nostro business? Il reparto X perderà di importanza?

Il reparto X non userà mai il nostro software.

Dare forma alle paure prima del processo di progettazione (e non a prodotto finito) consente di scegliere per tempo una strategia che faciliti il raggiungimento di un obiettivo non fine a se stesso, ma che porti un valore concreto all’azienda intera.

Un secondo aspetto importante del controllo ecologico è individuare le resistenze! Quanti progetti nascono con entusiasmo in un gruppo di lavoro e si schiantano contro burocrazia e timore del cambiamento? Conoscere chi è detrattore di un progetto è importante tanto quanto scrivere un software perfetto: saranno le prime persone da coinvolgere per conoscere il loro punto di vista.